El valor añadido del territorio rural en el proceso de inclusión de refugiados: un análisis sobre la percepción de bienestar socioeconómico en el Sur de Italia (Basilicata)

Luca Ernesto Mazzarella, Universidad de Deusto

Resumen

Este estudio investiga los itinerarios de recepción e inclusión en el largo plazo de la persona refugiada y solicitante de asilo (antiguos beneficiarios de proyectos SAI) de pequeñas comunidades locales en el sur de Italia (Basílicata). El objetivo es realizar un análisis de los aspectos que inciden en la elección de este territorio del interior y a riesgo de despoblación como residencia permanente. Recurriendo a la metodología cualitativa del estudio de caso, se seleccionaron historias de experiencias ejemplares, caracterizadas por inclusión social exitosa, con el objetivo de reflexionar sobre la evolución del proyecto migratorio en relación con el nuevo territorio acogedor y con todas las posibilidades que este les ha ido brindando a lo largo de los años.

Del análisis de la información se desprende que, contrariamente a lo que se piensa colectivamente, las comunidades rurales juegan un factor determinante en el proceso de inclusión de los extranjeros. Además, los resultados muestran que a los casos de éxito de la inclusión y a los beneficios socioeconómicos, se asocia también una oportunidad de proyección futura para la región.

Palabras clave: refugiado; inclusión; bienestar socioeconómico; diálogo intercultural; educación holística.

The added value of the rural territory in the refugges’ inclusion process: analysis of the perception of socioeconomic well-being in southern Italy (Basilicata)

Abstract

This study examines the impact of mining cycles on the demographic evolution of various Spanish municipalities or mining districts between the 19th and 20th centuries. It emphasises the significance of economic, geographical and institutional factors in this process. The study demonstrates that the degree of mining dependence shaped the demographic trajectory of municipalities, from those that were highly dependent and experienced depopulation following the closure of mines, to semi-urban areas with diversified economies that were better equipped to withstand the impact of mining decline. The case studies illustrate this diversity of demographic responses, emphasizing the necessity for territorial approaches at a more granular level than the provincial scale to fully comprehend the population dynamics of mining decline in Spain.

Key words: refugee; inclusion; socioeconomic well-being; intercultural dialogue; holistic education.

Fecha de recepción del original: 10 de febrero de 2025; version final: 17 de julio de 2025.

- Luca Ernesto Mazzarella, E-mail: luca.mazzarella@opendeusto.es; ORCID ID: https://orcid.org/0009-0005-3671-5213.

El valor añadido del territorio rural en el proceso de inclusión de refugiados: un análisis sobre la percepción de bienestar socioeconómico en el Sur de Italia (Basilicata)

Luca Ernesto Mazzarella, Universidad de Deusto

Introduzione

Il presente studio analizza i percorsi di accoglienza e inclusione dei rifugiati e richiedenti asilo in aree rurali e a rischio spopolamento della Basilicata. Un territorio tradizionalmente poco battuto dall’arrivo di stranieri ma che negli ultimi anni ha evidenziato un aumento considerevole di progetti di accoglienza e inclusione SAI1 (Report Sai e Ministero dell’Interno, 2021; Marchesini et al., 2018)).

Nello specifico, si indagano quali aspetti positivi e/o negativi intervengono nel fare accoglienza in territori marginali piuttosto che nelle rotte urbane più ricche di servizi e opportunità future. Inoltre, si analizzano le modalità attraverso le quali i territori interni come quelli della Basilicata possono tramutarsi in mete di arrivo per stranieri con valore aggiunto proprio e inoltre offrirsi come opportunità di futuro alternative per il territorio.

Nelle attuali società pluriculturali la creazione di spazi sempre più inclusivi di tutte le sue componenti umane rappresenta un assunto tanto necessario quanto obbligatorio (Portera, 2019). Il possesso di competenze di cittadinanza globale, come segnalato da importanti organismi internazionali tra i quali la Unesco e il Consiglio d’Europa, rappresenta una delle sfide più ardue ed eticamente alte della modernità.

Ed è in tale cornice che emerge come imperativo imprescindibile riconfigurare il tradizionale concetto di cultura che a lungo ha influenzato il mondo occidentale come spazio ricettore di ingenti flussi migratori (Freire, 2008; Said, 1978). Pertanto, l’istanza di una rimodulazione culturale che sia coerente con i cambiamenti della società della globalizzazione e, non di meno, con le trasformazioni socioculturali agenti nello spazio comune europeo si configura come una responsabilità etica inderogabile.

L’Italia, in questa cornice, rappresenta uno dei paesi in cui con maggiore veemenza si sono avvicendati tali stravolgimenti economici e sociali, che al contempo hanno messo a dura prova la capacità di tenuta a livello strutturale del paese (Ricci, 2004). A tale proposito, c’è chi ravvede nella tradizione monoculturale italiana la causa principale che ha impedito la naturale evoluzione degli usi e costumi in chiave interculturale. Pertanto, l’alto grado di etnocentrismo identitario a cui è ancorata la società ne ha inibito il suo naturale processo di trasformazione. Tuttavia, nonostante il contesto politico non sempre all’altezza delle sfide in atto, la società italiana si è dimostrata più disponibile ad accompagnare tale trasformazione (Annunziata, 2020; Proglio e Faloppa, 2020).

Perciò, alla luce di quanto esposto, e come ricorda Maurizio Ambrosini, è esattamente in scenari marginali e locali, sganciati dalle querelle e dagli scontri politici nazionali, che si gioca la partita più importante dell’accoglienza (2020). Difatti, i risultati di questo studio mostrano che anche territori marginali e a rischio spopolamento possono giocare un ruolo di prima linea nel campo dell’inclusione e, inoltre, presentarsi, grazie a un proprio valore aggiunto specifico, come alternativa efficace alle rotte urbane più battute.

2. Quadro teorico

2.1 Accoglienza dei migranti nelle aree rurali

Il lavoro di ricerca nasce da una duplice constatazione; in primo luogo, la scarsità di dati relativi ai percorsi dei rifugiati e richiedenti asilo in conclusione dei progetti SAI-ex SPRAR e, inoltre, l’insufficiente interesse posto dalla comunità scientifica sulla “dorsale dell’accoglienza” (p.27) laddove questa è organizzata in piccoli comuni di aree interne a rischio spopolamento (Bevilacqua, 2018).

Pertanto, se per una parte la comunità scientifica ha concentrato la sua attenzione prevalentemente sui migranti economici delle aree urbane, dall’altra, ha perso di vista l’occasione di riflessione fornita dai processi di accoglienza e integrazione quando sono organizzati con un approccio strutturale e non spontaneo come nel caso dei progetti per titolari di protezione internazionale. In questo senso, l’osservazione dei processi d’accoglienza in piccole aree dell’interno dell’Appennino si offre come un interessante laboratorio utile a far emergere aspetti da cui trarre vantaggio anche in chiave di proiezione di crescita futura (Lang, 2024; Marchesini et al., 2018).

Tali considerazioni sono confermate dalle rilevazioni sulle nuove popolazioni delle aree interne, le quali definiscono un profilo demografico piuttosto variegato che comprende nuovi contadini, agricoltori (Perrotta, 2015), montanari per scelta, persone che rinunciano alla vita di città (Bergamasco et al., 2021), lavoratori privati, appassionati dei green jobs e residenti part-time (Corrado e D’Agostino, 2016). Tra questi, inoltre, emerge la componente straniera che, con i suoi oltre 5 milioni di residenti totali in Italia, presenta un 12,3% di persone che eleggono come luogo di residenza i comuni di media e piccola dimensione (Istat, 2023). Dati che mostrano la rilevanza del fenomeno in corso e che al contempo spingono la comunità scientifica a far uscire dal cono d’ombra queste dinamiche migratorie (Hanson et al., 2020).

Pertanto, l’emergere di ricerche in aree appenniniche condurrebbe a mettere in luce le motivazioni che soggiacciono alle scelte di permanenza degli stranieri in territori rurali. A tale riguardo, Marcello Balbo evidenzia i vantaggi di queste comunità accoglienti: in primo luogo, le piccole comunità o “piccoli comuni” presentano una ristretta reticolarità di attori che favorisce una migliore gestione delle conflittualità e dei processi critici mantenendoli “sottotraccia”; inoltre, promuovono l’espressione delle singole individualità rispetto alla spersonalizzazione caratteristica dei centri urbani e infine agevolano forme di contatto più immediate tra migranti e luoghi /persone con potere decisionale del territorio (2018). L’insieme di questi aspetti contribuisce a consolidare un senso di prossimità tra straniero e comunità accogliente che si configura come potente fattore promotore di inclusione nel breve-medio termine.

Inoltre, l’autore aggiunge come la stessa fragilità della macchina amministrativa nei piccoli comuni finisce, di contro, per offrire una maggiore malleabilità o “discrezionalità” decisionale (Balbo, 2018; p. 211), conferendo di conseguenza flessibilità di azione a livello amministrativo e organizzativo.

Tuttavia, c’è chi ravvede anche forti criticità, ad esempio, le debolezze tipiche delle aree interne appenniniche (scarsità di servizi, tassi di crescita bassi e stagnanti, alta disoccupazione), e ancora il persistente approccio organizzativo emergenziale dell’accoglienza (Corrado et al., 2024; Lang, 2024). Pertanto, rimane tangibile il rischio concreto di relegare questi piccoli comuni improvvisamente eletti a luoghi di integrazione a meri “place of transit”; dove migliaia di stranieri, una volta concluso il percorso di regolarizzazione, abbandonano queste comunità alla volta di centri urbani più prodighi di occasioni e progetti di benessere futuro (Urso, 2022).

Per tali ragioni, per sopperire a queste mancanze sarebbe opportuno da parte delle autorità locali analizzare i fattori che agiscono positivamente sulle scelte di permanenza delle componenti stranieri, in modo da poter intercettare i loro bisogni e aspettative e di tal guisa convincerli a restare in questi territori (Corrado, 2017).

2.2 Fattori e scenari di benessere futuro per stranieri

Studi precedenti incentrati sui processi d’inclusione interculturale e benessere socioeconomico evidenziano gli elementi che favoriscono standard positivi nel caso di persone straniere. Tra i principali si confermano: a) la dimensione dell’ambito abitativo a cui hanno accesso nel medio e lungo termine e b) le condizioni e le opportunità lavorative (Cordini, 2012b, 2012a; Fravega, 2022).

2.2.1. La dimensione dell’abitare straniero e percezione di benessere

In primo luogo, occorre evidenziare che l’abitare migrante, purtroppo, non dispone di dati e ricerche incentrati sulle modalità specifiche dei comportamenti abitativi di questa categoria di individui. Al contrario, in letteratura sono presenti studi incentrati sul fenomeno abitativo degli stranieri prettamente in termini di devianza di occupazione dello spazio pubblico. Ciò conferisce opacità al tema dell’integrazione e dello sviluppo di condizioni socioeconomiche favorevoli, in quanto la reiterazione in termini di emergenza non consente un corretto ancoraggio al tema. Tuttavia, il caso dell’abitare straniero della città di Genova osservato da Emilio Fravega offre l’opportunità di riflettere sull’evoluzione dei comportamenti abitativi delle persone di origine straniere (2022).

Lo studio conferma che l’accesso all’alloggio nel caso di categorie di persone vulnerabili consente una prima approssimazione verso il recupero della privacy personale perduta durante il viaggio migratorio (Cordini, 2012a). Difatti, la sistemazione iniziale della popolazione straniera è contraddistinta da alta precarietà e dall’occupazione di vuoti urbani interstiziali; aspetti che ne evidenziano le difficoltà economiche di ancoraggio e inserimento nel tessuto sociale di arrivo. In questa dimensione di segregazione a livello sociale ed economico, come conferma la conferenza annuale incentrata sulle disuguaglianze presenti a livello globale (Facundo et al., 2022) ed anche a livello locale in Italia nello studio di Perocco (2018), i pochi spazi urbani a disposizione dei migranti sono le periferie degradate e/o gli antichi centri storici con abitazioni fatiscenti, caratterizzati dal fenomeno della gentrificazione e progressivo abbandono della classe media. Per tali ragioni, Fravega auspica la necessità di itinerari d’inserimento e inclusione che inneschino processi di miglioramento delle condizioni abitative dei migranti al pari dei residenti locali.

Tuttavia, il caso genovese evidenzia come anche i migranti nel medio termine mostrano le medesime aspettative di miglioramento per ciò che concerne le condizioni delle case; in modo da poter meglio corrispondere alla composizione del nucleo di abitanti e alle reali necessità che la lunga residenza apporta nel tempo (Fravega, 2022). Tra queste emergono il desiderio di appartamenti in quartieri di rango più alto, locali con servizi adeguati e dimensioni più ampie. Ciononostante, il raggiungimento di tali obiettivi si concretizza attraverso un vero e proprio percorso ad ostacoli, in quanto fenomeni come segregazione del mercato mobiliare e ricerca di occupazioni adeguate all’ottenimento dell’abitazione da affittare e/o acquistare agiscono in senso contrario (Cordini, 2012; Facundo et al, 2022).

Fortunatamente, tale situazione di impasse è parzialmente risolta dall’azione delle reti di appoggio e sostegno dei residenti connazionali e/o di familiari che si configurano come capitale umano di riferimento (Bigoni et al., 2016). Un sostegno informale che, sebbene sopperisca a politiche sociali a cui non hanno accesso, d’altro canto, favorisce comportamenti che muovono in una zona d’ombra spesso al limite delle norme e della condotta lecita (Fravega, 2022; Della Puppa, 2021).

2.2.2. La dimensione lavorativa e percezione di benessere

Altro fondamentale fattore propulsivo di efficaci processi di inclusione e di benessere socioeconomico è senza alcun dubbio rappresentato dalla sfera delle professioni. Una dimensione che consente ai lavoratori stranieri di accedere a più svariate opportunità: tra queste, il disimpegno di una vita sociale più appagante, il permettersi svaghi e divertimenti, l’accesso a un ventaglio di possibilità finanziarie, il godere di diritti sociali più ampi e, per ultimo e non di poca importanza, accedere a servizi per la persona e la propria salute.

Inoltre, è utile sottolineare che il concetto di benessere delle società occidentale è strettamente legato alle condizioni economiche e materiali che la condizione lavorativa consente (Cordini, 2012b); da ciò consegue che a più alte remunerazioni professionali corrispondono indici di benessere socioeconomico più alti. Tuttavia, è altrettante ovvio che questo rapporto nel caso delle persone migranti dipende da molteplici altri aspetti; tra questi, per esempio, la dimensione lavorativa degli stranieri si configura come un ambito avulso o, meglio, regolato da meccanismi e procedure dissimili rispetto al resto dei lavoratori locali e con esiti diseguali tra gli stessi stranieri (Ricci, 2004; Perocco, 2018; Cordini, 2012c),

Per comprendere tale argomentazione è sufficiente considerare una serie di dati che Perocco utilizza per definire meglio questo unicum; in primis, il lavoro straniero è caratterizzato da pesanti disuguaglianze rispetto a quello dei residenti italiani. Disuguaglianze che interessano l’intero arco professionale, partendo dall’accesso allo stesso, al licenziamento, passando per la remunerazione alle distinte tipologie di attività richieste ed infine al trattamento degli incidenti da lavoro alla copertura sanitaria (Fullina e Reynei, 2011; Idos, 2016; Moressa, 2012; Facundo et al., 2023; Perocco, 2018).

Altro importante aspetto è il fenomeno della segregazione e marginalità professionale che relega questa categoria di lavoratori a mansioni di basse competenze intellettuali e di stretta manovalanza, come avviene nel caso del settore delle costruzioni, della cura per la persona e del lavoro in agricoltura (Moressa, 2014; Ricci, 2004).

Dati che evidenziano, inoltre, quanto siano complessi e intricati i percorsi che conducono a una positiva percezione di inclusione e di benessere socioeconomico. Ciò che a tale riguardo Maurizio Ambrosini definisce quel lungo processo che consente il passaggio di status da stranieri a cittadini a pieno titolo (Ambrosini, 2020).

Per concludere, la dimensione professionale risente di tanti fattori che in qualche modo intervengono, rallentano e in alcuni casi inibiscono le condizioni di miglioramento del benessere generale. Inoltre, in questo senso il caso dell’ottenimento dei diritti di cittadini al pari dei residenti ne è forse l’esempio più eloquente.

Ciononostante si può affermare che l’interazione sinergica delle due dimensioni (abitativa e lavorativa) con altri aspetti e condizioni, come, ad esempio, la destinazione migratoria (urbana/rurale, nord-sud) (Ricci, 2004), la presenza/assenza di relazioni sociali, la possibilità e opportunità di sostegno al welfare e, non di secondaria importanza, la presenza sul territorio di servizi specifici (salute per la persona, attività sportive e culturali e burocratici) finiscono per determinare la percezione di benessere e inclusione della persona straniera.

2.3 Basilicata: regione a rischio spopolamento o territorio di accoglienza di immigranti

Sebbene l’istituto statistico ISTAT attesti le aree del centro nord come le destinazioni più ambite per chi intraprende un progetto migratorio (2021), è altresì vero che in regioni interne economicamente marginali e con saldi migratori negativi come Basilicata, Calabria e Molise il tema dell’accoglienza non solo si configura come una responsabilità etica, ma anche un tema da inserire a pieno titolo nelle agende dei rappresentanti politici locali di tali territori. Ed è in questa cornice contestuale che prende forma la progettualità organizzata sul profilo specifico dei beneficiari di status di protezione internazionale.

La Basilicata nel corso della storia è stata teatro di continue conquiste e dominazioni che hanno determinato le sorti di questo territorio. Un andirivieni di culture che lascia in eredità un’inestimabile ricchezza storica e culturale. Tuttavia, oggi la regione presenta una popolazione esigua, con marcata tendenza all’emigrazione verso il Nord Italia (Istat, 2021). Fenomeno che ha inizio già durante i primi vagiti del giovane Regno d’Italia (1861); quando tra il 1876 e il 1925 il tasso migratorio della regione era il secondo più alto tra tutte le regioni del Regno (Strazza, 2008).

Tuttavia, oggi siamo dinanzi a un nuovo fenomeno che parla di una nuova identità del territorio come destinazione dei migranti. Una tendenza demografica definita da Carlo Colloca e Alessandra Corrado “globalizzazione delle campagne” (2013); ossia un processo di recente urbanizzazione delle aree rurali sostenuto da nuovi piani industriali e/o di riorganizzazione dei sistemi produttivi agricoli e di servizi (Olmos et al., 2018; Perrotta, 2013). Ciononostante, tale fenomeno non presenta numeri sufficienti tali da ottemperare alla quantità di lucani che continuano annualmente a lasciare la regione (Ferrarese, 2021). Pertanto, il territorio presenta una forte emorragia demografica e alti tassi di denatalità.

In questa cornice contestuale nasce il modello proposto dalle amministrazioni locali relativo a progetti di lungo termine con l’obiettivo di ricevere stranieri e al contempo contenere la fuoriuscita dei residenti. Questi progetti denominati SAI, SIPROIMI, SPRAR2 sono approvati nel 2011 e confermati con un ulteriore incremento del numero dei centri di accoglienza nel 2015. Nello specifico, l’acronimo SAI è l’evoluzione dei progetti SPRAR e SIPROIMI, e f riferimento al Sistema di Accoglienza e Integrazione vigilato a livello nazionale dal Ministero dell’Interno con la partecipazione degli enti locali che accedono al Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell’Asilo. A livello locale e su base volontaria, le comunità locali organizzano progetti di accoglienza e integrazione per attrarre beneficiari dopo aver ricevuto servizi di primo livello negli hotspot di prima accoglienza (Rapporto Sai e Ministero dell’Interno, 2021).

Inoltre, l’articolazione di questi progetti non riguarda unicamente gli esperti del settore, tutt’altro. Si estende ad una molteplicità di professionalità chiamata ad agire in maniera sinergica in una dimensione collaborativa multilivello. Difatti, oltre al principio di volontarietà se ne aggiunge un’ulteriore componente che corrisponde a quello di sussidiarietà, ossia la capacità di assunzione di responsabilità e di spirito d’iniziativa da parte di tutti gli attori giuridici coinvolti negli itinerari di accoglienza e inclusione senza alcuna gerarchizzazione di poteri. Componente che spinge verso l’assunzione di un ruolo chiave, in una dimensione bottom-up (Ambrosini, 2020) per ogni sua componente: organizzatori di progetti del terzo settore, centri e servizi per la persona e attori politici nazionali e locali.

In sintesi, i progetti SAI agglutinano benefici e vantaggi che, contrariamente a ciò che è largamente condiviso nell’opinione pubblica, riguardano una platea molto più estesa che comprende non solo i beneficiari di protezione internazionale, ma anche i rappresentanti politici e amministrativi locali, i residenti delle comunità accoglienti ed infine gli stessi operatori locali del terzo settore. La complessa macchina di azioni e interazioni sinergiche tra tutti gli attori coinvolti porta con sé, da una parte, un potenziale d’innovazione che non può limitarsi strettamente ad aspetti interculturali di cui è chiamato a operare e, dall’altro, coinvolge e impatta fortemente sulle sorti future di questi territori in cui ai suoi abitanti è toccato la sorte di una “nascita sventurata” (De Martino, 1953.)

La posta sul tavolo, quindi, è una questione che non riguarda solamente l’inclusione di nuove componenti nel tessuto sociale di arrivo ma che anche avverte della necessità di nuovi paradigmi per il futuro, nonché di scenari di riscatto socioeconomico per una regione a rischio spopolamento e depressione economica.

Per concludere, la progettualità SAI trova linfa vitale nelle storie dei suoi abitanti locali ma anche in quelle dei suoi nuovi vicini. Un crocevia di esperienze di vita accomunate da un unico comune denominatore: quello di riconoscersi, residenti e nuovi arrivati, migranti forzati in cerca di un futuro migliore. Dallo svelamento di tali punti di contatto si ha l’occasione di appianare le asperità delle differenze, favorendone la creazione di spazi nei quali la scoperta dell’altro avviene attraverso relazioni paritarie, empatiche e pacifiche (Fiorucci, 2020; Unesco, 2006).

3. Metodologia

La ricerca applica la metodologia dello studio di caso e del lavoro di ricerca sul campo (Corbetta, 2003; 1999; Yin, 2017). Il presente contributo si inserisce in un progetto di ricerca più ampio che, attraverso un’analisi multilivello incentrata sull’efficacia della metodologia formativa olistica e integrale dei progetti SAI per rifugiati e richiedenti asilo, mette in luce una triangolarizzazione di prospettive data da tutti gli agenti coinvolti nei progetti: beneficiari rifugiati, team di esperti organizzatori dei progetti e, infine, ciò che si espone in questo contributo, il punto di vista degli ex beneficiari SAI divenuti negli anni nuovi residenti delle comunità ospitanti.

La specificità contestuale delle comunità accoglienti della Basilicata offre l’occasione d’indagare come i territori interni, come quelli della Basilicata, possono tramutarsi in mete di arrivo con valore aggiunto per stranieri e offrirsi come opportunità di futuro alternative per la categoria oggetto di studio.

La presente ricerca in Basilicata è stata condotta in collaborazione con entità ed associazioni indipendenti che fanno della giustizia sociale e dell’inclusione delle diversità i propri valori fondanti: l’associazione “Il Sicomoro” di Matera e la fondazione “La Città della Pace e dei Bambini” di Potenza – Scanzano - Sant’Arcangelo.

Sono state realizzate 11 interviste individuali con domande orientate ai 3 ambiti e dimensioni che meglio definiscono i percorsi d’inserimento dei soggetti beneficiari: 1) percezione delle condizioni lavorative; 2) percezione delle condizioni abitative e 3) valore personale del progetto di vita in Basilicata. La scelta delle interviste individuali in profondità come strumento di raccolta dei dati è risultato appropriato tanto in considerazione dei soggetti destinatari quanto per il soddisfacimento degli obiettivi di ricerca orientati alla definizione di una prospettiva interiore e personale delle esperienze (Kvale, 2011; Corbetta, 2003; 1999; Cardano, 2021).

Inoltre, a causa dell’impossibilità di riunire tutti gli informatori dei diversi centri del territorio regionale, si è deciso pianificare le interviste proponendo l’opportunità di scelta tra le seguenti modalità: in presenza, videoconferenza in Suite Google e videochiamata WhatsApp. I partecipanti all’intervista individuale sono 11 adulti (8 uomini e 3 donne), la maggioranza di questi provenienti dalla rotta orientale asiatica (7) rispetto a quella meridionale proveniente dalla rotta africana (4). Le interviste sono state realizzate in un arco temporale compreso tra il 16 maggio 2023 e l’8 marzo 2024. (Tabella 1). I partecipanti vantano tutti dei tempi di residenza nel territorio lucano superiori al requisito minimo stabilito per la partecipazione (pari a 3 anni).

Infine, in relazione alla prospettiva di genere, nonostante la platea a maggioranza maschile, si è ritenuto pertinente e opportuno garantire il principio di eterogeneità tra le e gli intervistati per favorire il manifestarsi di punti di vista diversi e utili per lo scambio di informazioni.

Tabella 1. Profilo degli informanti

Informante

Genere

Paese di Origine

Permanenza in Basilicata

Data Intervista

Durata

E1

Uomo

Siria

6 anni

24/05/2023

27:20

E2

Uomo

Afganistan

11 anni

25/05/2023

22:05

E3

Donna

Eritrea

18 anni

08/06/2023

28:25

E4

Uomo

Bangladesh

6 anni

05/06/2023

18:22

E5

Uomo

Egitto

9 anni

01/02/2024

30:05

E6

Uomo

Mali

4 anni

08/06/2023

16:48

E7

Donna

Etiopia

14 anni

08/03/2024

25:11

E8

Uomo

Siria

6 anni

04/06/2023

19:18

E9

Uomo

Afganistan

9 anni

01/02/2024

30:05

E10

Donna

Siria

6 anni

16/05/2023

16:55

E11

Uomo

Egitto

6 anni

26/05/2023

12:51

Fonte: elaborazione propria.

I dati raccolti sono stati elaborati attraverso il programma di analisi ATLAS.TI. Durante il processo di analisi, il lavoro collaborativo e critico tra i ricercatori ha rivelato e stabilito le categorie di significato con grado di precisione crescente. Successivamente, i nuclei di significato sono stati raggruppati in nuclei di analisi significativi, a seconda dell’appartenenza ai contenuti relativi alla categoria corrispondente (Cáceres, 2003).

Le fasi di analisi sono state le seguenti:

• Pre-analisi: proposta iniziale di elementi e/o segmenti di contenuto in prima lettura, successivamente, adattati in seconda lettura.

• Definizione delle unità di analisi: vengono delineati i nuclei tematici per favorire la definizione delle categorie, e successivamente condivisi con il gruppo di ricerca.

• Elaborazione dell’elenco dei codici: l’elenco dei codici viene organizzato secondo i principi di inclusione ed esclusione con l’obiettivo di giungere alla redazione dei codici definitivi.

• Definizione delle categorie: in quest’ultima fase, grazie alle regole di inclusione ed esclusione, la definizione di ciascun codice viene affinata con lo scopo di facilitare il raggruppamento delle caratteristiche comuni dei contenuti.

In conclusione, si è giunti alla definizione della tabella metodologica (tabella 2 in appendice) contenente la definizione dei codici e sottocodici di analisi utili alla definizione dei modelli (figure 1 e 2) presenti nella sezione 5.

4. Il contesto lucano dell’accoglienza

L’esperienza di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo in Basilicata ha inizio nel 2011; nel 2023 il sistema centrale nazionale approva 913 progetti, di cui 37 in Basilicata. Tenuto conto del vuoto urbano tipico del territorio lucano o come Palmarosa Fuccella lo definisce “un’immensa campagna” (1996), si è preferito organizzare l’accoglienza in piccoli borghi rurali con una popolazione inferiore ai 5000 abitanti. Pertanto, fatta eccezione di piccole città come Matera e Rionero che raggiungono i 20.000 abitanti, sono stati attivati progetti in piccoli centri con l’intento di rivitalizzare il territorio. Tra le comunità osservate troviamo:

Santarcangelo, Matera, Irsina, Palazzo San Gervaso, Missanello, Gallicchio, Rionero, San Chirico Raparo.

L’ expertise accumulato negli anni ha favorito la crescita dell’ospitalità per rifugiati e richiedenti asilo fino al raggiungimento delle 1.526 unità di beneficiari nel 2021 (corrispondente all’1,9% dell’intera popolazione straniera accolta in Italia), dei quali 943 collocati nei CAS o in altri centri e 583 nella rete SAI, con una incidenza dello 0,3% sul totale della popolazione regionale. Dati che a prima vista paiono non essere di gran rilevanza ma che rispetto al 2020 sono aumentati del +13,4 (Studi e Ricerche IDOS, 2022).

Inoltre, il dato in crescita relativo al numero dei beneficiari rappresenta, per una parte, una costante in termini di expertise e competenze acquisite sul campo da parte degli esperti organizzatori di progetti di accoglienza, e, dall’altra, racconta di storie di percorsi immigratori inaspettati in un territorio ingabbiato nel paradigma di terra di migranti con bassi tassi di benessere socioeconomico (ENI, 2020; Studi e Ricerche IDOS, 2022) e di possibilità di riscatto futuro (De Martino, 1982; Levi, 1945; Nitti, 1888).

5. Risultati e discussione

Dall’analisi delle interviste emerge che le dimensioni relative alla condizione lavorativa e quella abitativa si confermano come i pilastri portanti per la definizione della percezione del grado di inclusione e di benessere nel territorio accogliente. Inoltre, il caso specifico delle comunità della Basilicata, come confermato in (Ambrosini, 2020), evidenzia che una positiva percezione di inclusione e benessere personale non può prescindere dalla specificità contestuale e dalla sua rete di interconnessioni quotidiane che offre. A tale scopo, si descrivono nel dettaglio tali aspetti e, successivamente, si focalizzerà l’attenzione sugli elementi emersi come espressione propria del contesto sociale delle comunità della Basilicata. Il tentativo ultimo dello studio è quello di far dialogare gli aspetti che confermano quanto già presente in letteratura e al contempo presentarne di nuovi come frutto dell’originalità del territorio rurale.

In primo luogo, è opportuno introdurre una classificazione della tipologia di permanenza degli intervistati secondo una prospettiva cronologica; ossia una descrizione coerente delle tappe che si avvicendano a partire dalla fase di arrivo alla scelta finale del territorio come residenza permanente e definitiva. Come mostra la (figura 1) ai tre stadi corrispondono delle costanti che ne caratterizzano il passaggio da una fase alla successiva.

Figura 1. Categorizzazione cronologica permanenza sul territorio.

Fonte: elaborazione propria.

a) Fase iniziale:

Si conferma che la permanenza durante la sua fase iniziale è caratterizzata da una percezione di sospensione causata da alta vulnerabilità socioaffettiva e psicofisiologica (Tessitore e Margherita, 2017; Macciani, 2019) e linguistico-comunicativa (Ambrosini, 2020; Cobo et al., 2020).

Pertanto, si riscontrano evidenze di una fase percepita come tappa forzata. Gli ex beneficiari affermano di non conoscere il territorio e di aver avuto intenzioni migratorie diverse da ciò che gli è toccato sperimentare. Per tale ragione riferiscono di aver provato sentimenti come tristezza e frustrazione. (E3) descrive questo stato con delicata precisione:

“Però all’inizio non l’ho mai accettato.] … [ho cercato di rimanere qua] … [però non era il mio sogno di rimanere qui”. (E3)

Parole che esprimono delusione causata da un sogno reciso, che ha costretto l’intervistato a fare leva sulle capacità personali di resilienza e perseveranza per affrontare la difficoltà. Difatti, in questa fase non è consentita loro libertà di movimento per aggirare l’impasse burocratica, evidenziando di conseguenza la percezione di una quotidianità sospesa a metà strada tra perdita della propria identità e privacy e una regressione delle proprie possibilità di sentirsi indipendenti e liberi di agire.

Inoltre, (E3) riferisce un altro elemento determinante che impatta fortemente nella scelta della meta migratoria:

“Sono una ragazza in gamba, che ha fatto tanta amicizia, tanti amici con italiani però a livello proprio di sangue non ho nessuno qui…quindi un domani il mio pensiero è di stare vicino alla mia famiglia”. (E3)

L’assenza di una rete familiare nel territorio incide sulla durata della permanenza. In questi casi, l’obiettivo è lasciare il territorio con lo scopo di ricongiungersi al più presto al resto della rete familiare; tuttavia, prima di poterlo fare, bisogna attendere che la tappa obbligatoria giunga a compimento con l’ottenimento della documentazione necessaria.

Difatti, un’altra causa che vincola forzosamente il migrante è la procedura burocratica e amministrativa per l’ottenimento della documentazione necessaria utile alla prosecuzione del viaggio migratorio.

“… quindi sono rimasta per il documento, però quando sono rimasta anche per documento per avere cittadinanza anche mi è costato altri … più di 10 anni, mi è costato 16 anni per avere cittadinanza”. (E3)

Lunghi iter burocratici comportano, da una parte, una permanenza iniziale obbligatoria e, dall’altra costringono i beneficiari al prolungamento della permanenza a causa degli effetti delle norme di accoglienza che impongono agli stranieri di soggiornare nel Paese di primo arrivo del territorio comunitario. Ciononostante, di contro, gli effetti della lentezza della macchina amministrativa italiana possono rivelare benefici in quanto spingono i nuovi arrivati a scoprire potenzialità del territorio che inizialmente ai loro occhi sembravano inesistenti. Difatti il meccanismo di ripartizione dei beneficiari dei progetti dirige in forma aleatoria i beneficiari verso territori a loro sconosciuti come quelli marginali e rurali della Basilicata, lontani dai centri urbani come Roma, Milano, Torino e Napoli.

b) Permanenza a Medio Termine:

A questa seconda tipologia fa riferimento una permanenza cronologicamente più lunga ma che continua a configurarsi provvisoria. Gli intervistati riportano due motivazioni principali: in primo luogo, si conferma la preferenza della prosecuzione del viaggio migratorio verso i centri urbani principali come “Roma” (E5) o “Mi piacerebbe tipo Milano…”(E6), scelte che relegano a scelta provvisoria o temporanea la permanenza nel territorio della Basilicata; e, in secondo luogo, si evidenziano lungaggini amministrative e burocratiche per la concessione dei documenti di soggiorno come nel caso di (E2) che racconta: “ho avuto problemi con i documenti. Cioè, non me lo rinnovavano”. Queste impasse nel tempo inducono a rinviare il progetto di spostamento verso le città, e di conseguenza i migranti in attesa prolungano la permanenza in queste comunità.

Tuttavia, questa dilatazione dei tempi agisce positivamente sulle esperienze dei migranti, favorendo di fatto una sorta di rivelazione degli aspetti positivi e vantaggiosi del territorio, tra i quali l’approfondirsi delle reti sociali e dei rapporti interpersonali con gli abitanti residenti. Ciò configura il preludio a esperienze di permanenza più lunga e/o definitiva.

c) Permanenza definitiva - conferma territorio per lunga permanenza:

A questa categoria di residenti fanno parte quegli ex beneficiari che, dopo un lungo periodo di permanenza obbligata e dettata da determinate condizioni di convenienza, pervengono alla scelta di adozione definitiva del territorio come luogo consono a metter radici in prospettiva di futuro. Si fa riferimento a esperienze individuali che hanno condotto queste persone ad accantonare le ipotesi fin qui descritte: a) permanenza breve-obbligata e b) breve termine, e abbracciare di fatto la sfida dell’integrazione socioculturale e lavorativa nel contesto di prima accoglienza.

Figura 2. Valore aggiunto del contesto Basilicata

Fonte: elaborazione propria.

La conferma del territorio come luogo di permanenza definitiva mette in luce, come si mostra in (figura 2), dimensioni specifiche che nel lungo percorso incidono sulla scelta delle e degli ex-rifugiati. In virtù di ciò, si è organizzata l’informazione riportata interpretandola come una sorta di valore aggiunto territoriale raggruppandola in 3 dimensioni e una aggiuntiva relativa agli elementi di criticità del territorio:

Aspetti relativi alle specificità del territorio;

Caratteristiche delle e degli abitanti lucani;

Relazione tra nuovi abitanti e vicini residenti locali;

Elementi di criticità del territorio

Fattori contestuali del territorio: l’analisi evidenzia che, se da una parte, l’organizzazione dei progetti di accoglienza e integrazione nelle aree rurali comporta maggiori difficoltà rispetto ai territori urbani con più servizi e infrastrutture; e, d’altra parte, è altresì vero che si è in presenza di elementi e fattori specifici che ne favoriscono un’originale definizione come valore aggiunto specifico del territorio. Per tale ragione, i dati evidenziano la presenza di un fattore territoriale che rende più competitive e appetibili le comunità di accoglienza di Basilicata.

Il primo aspetto fa riferimento a un territorio contraddistinto da tranquillità e sicurezza percepita. Emerge che tra le caratteristiche più frequenti si ravvede la possibilità di condurre una nuova vita in luoghi senza eccessivi casi di violenza e criminalità.

“Matera è una città tranquilla e calma”. (E1) “Matera è tranquilla, è una città tranquilla …” (E7) “Matera, è una città tranquilla. Specialmente per noi immigrati, diciamo, che qua sento … mi sento in casa.” (E9)

Sentirsi al sicuro rappresenta un aspetto altamente apprezzato anche e soprattutto in considerazione delle esperienze vissute nei propri paesi di origine (Cerna, 2019; Della Puppa e Sanò, 2021; Tessitore e Margherita, 2017). Difatti, se si considera la provenienza degli intervistati in (tabella 1), la gran parte degli e delle intervistate provengono da paesi attraversati da instabilità politica e conflitti bellici. Inoltre, c’è chi paragona l’esperienza in Basilicata con altre avute precedentemente:

“invece … qui è una piccola città. Non c’è tanto casino, ognuno si fa i fatti suoi. Io andato in altri posti, ho visto tanto casino, la gente non è buona, molto cattiva …invece qua è molto tranquillo, io mi sento bene come nella mia città”. (E4)

(E5) paragona la sicurezza percepita con le notizie di violenza riportate da conoscenti in altre città italiane; in questo caso, il senso di sicurezza è conseguente alla scoperta di un contesto socialmente vivace ed empaticamente vicino, scevro dalle pericolosità e casi di intolleranza delle grandi città:

“E’ una città calma, non c’è, diciamo, io mi sento non come una città come Napoli. Tanti ragazzi sono venuti da Napoli e lì hanno rubato, hanno spaccato la faccia”. (E5)

Napoli si configura come modello di riferimento urbano che riporta a contesti sociali dove le componenti di stranieri più numerose incidono fortemente sul tessuto sociale, aggiungendosi ad altri elementi critici che determinano i luoghi urbani come territori a bassa percezione di sicurezza. Ciò induce gli intervistati a una piacevole scoperta, la presenza di territori a loro precedentemente sconosciuti dove poter recuperare l’identità perduta e vivere nuove opportunità in tranquillità e senso di sicurezza personale.

Un altro aspetto molto apprezzato è la bellezza estetica e paesaggistica dei territori. In riferimento a questo (E5) afferma:

“non c’è bisogno di andare via di qua. Perché, quando vedi (il paesaggio) …. come la natura, vedi piove, vedi vento, vedi tante cose…” (E5)

La connessione con il territorio, a volte, ha luogo grazie alla bellezza del paesaggio e al contatto diretto con la natura. Nelle parole di (E5) è forte la percezione di come il radicamento con il territorio riguardi intrinsecamente aspetti istintuali e psicologici relazionati alla vista, all’udito, al gusto, olfatto. Pertanto, è evidente che la percezione di benessere non può essere ridotto unicamente alle condizioni abitative e lavorative (Ambrosini, 2020), ma che formi parte di un processo più complesso e articolato nel quale rientrano a pieno titolo anche la bellezza estetico-architettonica, la natura e il paesaggio.

Inoltre, emerge l’aspetto della convenienza economica dovuto a un rapporto favorevole costo e qualità della vita.

“(Qui) puoi vivere anche con la spesa di affitto, per esempio, questa casa ci stanno due camere, camera, cucina grande, pago 400 euro. Invece tu devi andare di qua, a un’altra parte…. come questa casa manco ti ritrovi 1000 euro] … [Sì, con poco si vive bene.” (E7)

In queste comunità si presentano condizioni più favorevoli che, da un lato, confutano gli studi che definiscono come segregazione abitativa le condizioni a cui sono sottoposti gli stranieri (Fravega, 2022; Perocco, 2018), e dall’altro, rendono più agevole il percorso dell’abitare e della riappropriazione degli spazi personali e familiari in abitazioni più spaziose e a buon mercato. Emerge che a differenza degli studi genovesi incentrati sui quartieri popolari della città ligure, nelle comunità medio-piccole della Basilicata non si presentano quelle condizioni che favoriscono la formazione di ghetti e isolamenti etnici e, al contrario, trova spazio anche la valorizzazione estetica data dal contesto abitativo esterno: quartiere, piazzetta del paese e paesaggio naturalistico.

Per concludere, si conferma inoltre che la percezione del benessere socioeconomico degli ex beneficiari non corrisponde pedissequamente al concetto del mondo occidentale. In assenza di un elevato potere d’acquisto vengono valorizzati anche altri aspetti che integrano queste carenze, proprio come nel caso di (E5) che dà priorità all’apporto estetico del paesaggio, oppure come (E7) che, seppur con minimi miglioramenti della propria condizione socioeconomica, ne apprezza la tranquillità e il saldo positivo dato dal rapporto qualità e costo della vita.

• Le caratteristiche dei lucani: la sfera comportamentale e quella della socializzazione si configura come un fattore trainante verso la creazione di spazi inclusivi e pacifici. Secondo la percezione dei nuovi residenti, i lucani presentano aspetti della personalità e del carattere che favoriscono la percezione di un senso di vicinanza e, talvolta, una reale connessione empatica.

Inoltre, prima di esporre nel dettaglio le evidenze evidenziate, è interessante chiarire, come mostrato in (figura 2), che alcuni aspetti indicati trovano conferma anche secondo la prospettiva degli esperti di progetti di accoglienza e integrazione di questa ricerca. Ad esempio, il primo aspetto confermato da entrambi (ex beneficiari di progetto SAI/esperti SAI) è l’alto grado di ospitalità dei lucani nell’accogliere i migranti: “Il punto più positivo] … [è che è un popolo sincero, ospitale.” … “Diciamo la gente della campagna, sono state sempre la gente più ospitale al mondo.” (E9). Difatti, entrambi i gruppi convergono sull’atteggiamento trasparente e ospitale dei lucani. Inoltre, quando questo è messo in rapporto con l’atteggiamento degli abitanti delle aree metropolitane, secondo le parole di (E9), questi ultimi sono percepiti meno disponibili verso gli altri.

Per tale ragione, vivere in un ambiente rurale come la Basilicata con i suoi valori, la sua storia migratoria e, non ultimo, le storie di povertà del passato si concretizza in valore aggiunto dato dalla sua specificità contestuale. Difatti, questo territorio sfortunato come è stato definito dall’etnologo Ernesto de Martino (1954), rende i suoi abitanti individui caratterizzati da una profonda umanità, esattamente come conferma (E2): “Per me come personalità, sono bellissime persone. Cioè, molto belle”.

D’altro canto, (E6) racconta ciò che lo ha convinto a restare in Basilicata, ossia il trattamento riservatogli dai residenti lucani dal momento del suo arrivo nella comunità di San Chirico:

“…la cosa che ha spinto me a rimanere qua, sono la gente che ho conosciuto qua. Perché mi hanno trattato come uno di loro, insomma. Non penso che se vado a un altro posto mi tratteranno in questo modo.” (E6)

Sono parole che trasmettono un senso di forte attaccamento alla comunità, grazie al quale ha potuto godere di quella vicinanza umana che gli ha consentito di non sentirsi estraneo alla comunità. La sua testimonianza riecheggia l’attitudine sociale dello Uchi Soto che guida verso il raggiungimento del bene collettivo come professato nella filosofia giapponese e che inoltre appare tra gli elementi dell’Albero Interculturale proposto dall’Unesco (Unesco, 2006: p. 91). Secondo questa filosofia i gruppi sociali si differenziano tra Uchi “dentro” per gli appartenenti al gruppo e Soto “fuori” per chi non ne fa parte; nonostante queste divisioni la società giapponese prevede un profondo rispetto collettivo verso tutti i gruppi ed i membri di gruppi diversi. Ciò è considerato un valore fondante per il raggiungimento del bene collettivo e di una convivenza plurale e pacifica. Ed è molto interessante osservare come le comunità accoglienti lucane presentino attitudini e comportamenti similari tra gruppi collettivi diversi: residenti e nuovi arrivati.

“… [non hai idea quanto buona è questa gente qua. Dei miei amici ci sono tanti di qua del posto, tanti amici che senti che non lo vedo sento la mancanza proprio.” (E1)

“Allora, qua c’ho proprio una mamma di Santarcangelo…che in qualsiasi momento che ho bisogno. Cioè, qualsiasi cosa, basta una telefonata e insomma …”. (E6)

Le due esperienze precedenti mostrano come comportamenti di forte umanità e profondo rispetto nel tempo favoriscono la creazione di relazioni interpersonali forti e durature. Ad esempio, (E1) racconta rapporti di amicizia che prendono le sembianze di relazioni solide come quelle che legano i membri di una stessa famiglia. Difatti, per la componente straniera è frequente il fenomeno di sostituzione delle relazioni familiari di sangue con l’adozione di nuove reti di appoggio e sostegno individuati nel territorio di arrivo. D’altro canto (E6), riferendo la sua lunga esperienza come ospite in una casa-famiglia per minori non accompagnati nella comunità di San Chirico, mette in evidenza la capacità empatica (Unesco, 2009) di chi lo ha accolto quando era ancora un giovane adolescente, e che nel tempo lo ha legato attraverso un legame che mette sul medesimo piano di un rapporto materno tra figlio e genitore.

Infine, un altro aspetto evidenziato è lo svelamento della presenza di tratti ed elementi culturali in comune (Byram, 1997; Deardorff, 2020): ossia, la possibilità di trovare somiglianze interculturali tra culture apparentemente così lontane e diverse; come nel caso di (E6), il quale ci offre prove concrete riguardo il processo di creazione di spazi secondo un’ottica interculturale (Unesco, 2005).

“Per me molto in comune è l’ospitalità. Gli afgani hanno il cuore proprio grande in questa cosa qua.” (E9).

Il riconoscimento, come in questo caso, del tratto comune trasversale presente in entrambe le culture (afghana e materana) pone sul tavolo una delle questioni più ambiziose che l’Unesco ci propone; ossia, la necessità per una società multiculturale di tendere a una comprensione più profonda di tutti, tale da giungere a far affiorare aspetti comuni (Testaì, 2015) che spesso si nascondono dietro quelle macro-differenze che a prima vista depistano la nostra attenzione. Difatti, secondo la Unesco, agendo con più attenzione, mossi da un atteggiamento empatico, sincera curiosità e, non ultimo, spinti da un autentico spirito di fratellanza, possiamo pervenire a quelle somiglianze capaci di rivelarci l’essenza intima di tutti gli esseri umani come abitanti dello stesso e unico pianeta (Portera, 2019).

Relazione beneficiario y territorio: altra dimensione rilevante fa riferimento al rapporto speciale che nel tempo gli ex beneficiari di progetto SAI allacciano con il territorio. In primo luogo, abbiamo indagato quali aspetti incidono sullo sviluppo di tale relazione sentimentale con le comunità ospitanti; in secondo luogo, si è riflettuto sulle modalità con cui essi si relazionano in modo indipendente e/o sinergico per l’evoluzione di tale rapporto.

Ci sono evidenze che definiscono una permanenza prolungata nel territorio quando è promossa da un sentimento intenso di radicamento con la comunità, come afferma (E7):

“Non mi trovo bene, se lascio qua. Perché è qua che sono integrato bene, se mi sento male la chiamo qualche vicino, mi sento tanta famiglia] … [sento a casa mia… non posso spostare manco mi danno più di quello che mi danno qua! Io non mi sposto da Matera”. (E7)

Le persone di queste comunità dimostrano generosità che, come afferma (E7), non è così scontata ritrovare altrove. Ciò è ancor più evidente quando si verificano casi di necessità e di urgenze di vario tipo. In queste situazioni, (E7) è certo di poter contare sul sostegno dei vicini, i quali sono percepiti come sostituti della propria famiglia di origine: “mi sento tanta famiglia”. Tali evidenze, confutano studi precedenti sul capitale sociale fornito dalle reti di appoggio delle comunità di connazionali, in quanto, come evidenziato da questo studio, nelle comunità della Basilicata l’apporto e il sostegno nel tessuto sociale è spesso offerto dalla popolazione autoctona residente (Bigoni et al., 2016).

Inoltre, altro aspetto interessante è il forte sentimento di radicamento nella comunità; aspetto che aiuta a non desistere dinanzi a proposte economicamente più allettanti provenienti dall’esterno della città di Matera. Ciò conferma quanto sia importante, nel caso di categorie vulnerabili, la ricerca della tranquillità e sicurezza personale e/o familiare e quanto queste possano compensare condizioni lavorative economicamente più favorevoli fuori dalle comunità accoglienti.

Significativi, inoltre, sono i concetti di terra e casa: “È qui io sento la mia terra, la mia casa, la mia città.” (E10). Sentirsi radicati nel territorio è il risultato di un lungo processo che richiede tempo e fatica, esattamente come il tempo che impiegano le radici a penetrare e ancorarsi alla terra. Ciononostante, se il processo ha seguito il suo iter, l’arbusto può crescere e dare i suoi frutti, come nel caso di (E1) che afferma: “…mo’ (sono) diventata Materana … Matera un pezzo del mio cuore”; in altre parole, quel luogo che inizialmente era percepito come sconosciuto e lontano rispetto al progetto migratorio iniziale diventa nel tempo un pezzo del suo cuore, cioè l’organo deputato all’espressione dei sentimenti.

Un altro tipo di sentimento emerge quando si tratta di casi di adolescenti rifugiati non accompagnati accolti in una dimensione più raccolta e protetta: la casa-famiglia. Esperienza che nel lungo periodo porta alla creazione di rapporti simili a quelli tra familiari. Ad esempio, (E6) riferisce che, anche se già adulto, è consapevole che:

“…qua c’ho proprio una mamma di Santarcangelo…che in qualsiasi momento che ho bisogno. Cioè, qualsiasi cosa, basta una telefonata …”. (E6)

Non abbiamo notizie certe sulla sua famiglia d’origine, tuttavia (E6) è certo di aver trovato a Santarcangelo una figura materna “mamma” che si prenderà cura di lui ogni volta che ne avrà bisogno. Un rapporto “familiare” che consolida anche il legame con la comunità del piccolo centro; attraverso uno speciale collante che partendo dal legame familiare si riverbera nel contesto sociale accogliente composto dalla rete di amicizie, conoscenti, parenti e nuovi abitanti accolti.

In altre occasioni il forte legame di appartenenza alla comunità è generato da sentimenti meno istintivi e più razionali. Si tratta di rapporti basati sulla fiducia, sul senso di riconoscimento e sulla stima per il sostegno ricevuto negli anni. Alcuni sono riportati di seguito:

“Grazie a Dio, grazie al Sicomoro. Sicomoro mi ha aiutato per trovare il primo lavoro”.

(E5) “poi sono venuto a Rionero del Vulture, con l’associazione (Arci) e là ho cominciato ad imparare bene italiano. Io dico grazie a loro, sempre”. (E4)

“Questo lavoro mi hanno aiutato tra Sicomoro e Caritas”. (E7)

Le figure professionali del terzo settore si confermano come attori principali che favoriscono la mediazione di conflitti e/o situazioni problematiche durante l’intero processo di integrazione e con particolare efficacia durante la fase critica iniziale (Fiorucci, 2012; Tessitore e Margherita, 2017).

Si conferma inoltre l’impatto positivo evidenziato dal punto di vista degli esperti organizzatori dei progetti ospitanti e da quello degli ex beneficiari. L’evidenza si configura proprio in rapporti di fiducia e di riconoscimento reciproco che si trasformano progressivamente nel tempo, passando da rapporti professionali a rapporti personali e, talvolta, più intimi. Così (E10) descrive il suo primo incontro con M.:

“Sì, mi ricordo che, quando siamo arrivati, era proprio (ex) casa mia, era proprio qui vicino. Mi ricordo era M., era di notte alle 12”. (E10)

M. è un assistente sociale dell’ARCI di Sant’Arcangelo che nel tempo è diventato un riferimento per tutta la famiglia tanto che (E10) con espressione di soddisfazione afferma: “…siamo veramente famiglia…”.

Studi precedenti sui casi di integrazione di successo evidenziano che questi sono promossi da ricongiungimenti familiari e dalla presenza di figli stranieri di seconda generazione. Questi rafforzano, da una parte, l’attaccamento al territorio grazie alle intense relazioni sociali che i più giovani intrattengono con i loro coetanei e, dall’altro, favoriscono il processo di elezione del contesto a luogo di residenza stabile (Ambrosini e Bonizzoni, 2012; Catarci et al., 2012; Fiorucci et al., 2007). In relazione a ciò, la (E7) racconta di sua figlia:

“Lei è contenta. Lei 17 anni, fa adesso il quarto anno di Liceo Scientifico. È contenta con gli amici sua. (E٧)

Sono due donne che approdano in barca a Lampedusa, una mamma e una bambina di un anno e mezzo rischiando la vita. Oggi, dopo 17 anni, tra tante difficoltà, hanno intrapreso un lungo cammino nella comunità materana. Sono felici per quanto ottenuto, mostrano un’autopercezione di benessere positiva. (E7) è una madre operosa e sua figlia una studentessa liceale che vive la sua vita da adolescente tra i suoi coetanei. La madre racconta di sua figlia con marcato orgoglio: “quando è entrata (in Italia) ha un anno e 7 mesi”, e oggi: “è integrata proprio con la lingua e tutto quanto”. (E7). Parole che confermano quanto la presenza di famiglie con figli italiani di seconda generazione favorisce percorsi d’integrazione interculturali di successo, rafforzandone anche l’apporto di capitale sociale a disposizione di tali nuclei familiari (Colombo, 2014b). Inoltre, percorsi scolastici di successo per figli stranieri di seconda generazione si associano a più alti livelli di soddisfazione familiare, che di conseguenza favoriscono il consolidamento del rapporto tra territorio e genitori stessi (Colombo, 2014a).

Altre volte, il rafforzamento del sentimento di radicamento nel territorio risulta intensificato grazie ai racconti di esperienze negative riportati da altri ex beneficiari di progetti che tentano la fortuna fuori dal territorio lucano senza successo. Questi racconti ed aneddoti pare agiscano come ammonimenti per chi cova ambizioni fuori dal territorio:

“Germania, Olanda, Norvegia, tanti mondi sono andati…. e sono tornati] … [tornati altra città perché non possono tornare qua …lavoro lo hanno lasciato, la casa in affitto hanno lasciato…”

Ci sono casi meno fortunati di chi, proseguendo il viaggio verso i centri urbani e/o all’estero, non trova quanto desiderato, sostituendo così alla speranza la delusione. In fondo il viaggio migratorio cela sempre speranze e aspettative ma allo stesso tempo possono riservare anche delusioni e ostacoli da superare. Tuttavia, nelle parole di (E7) si intravvede il giudizio/rammarico per non aver compreso adeguatamente il valore aggiunto del territorio rurale, lasciandosi ammaliare dalle promesse di benessere lontane da quel piccolo mondo.

A modo di avvertimento, chi resta in Basilicata è abbastanza certo del rischio che potrebbe correre trasferendosi all’estero o in altre città. A tal proposito, (E4) con saggezza afferma:

“Sai, a me un amico ha detto: “Per il futuro devi pensare avanti, sì è vero…però (per) andare avanti …devi sempre andare piano piano”. (E4)

Una frase che chiarisce con semplicità e precisione la sfida che ha dovuto affrontare; da un lato, vivere l’illusione di una vita migliore, dall’altro, la lucidità nel riconoscere gli ostacoli che il cammino può presentare. Tuttavia, ciò non significa rinunciare a nuove opportunità, al contrario, semplicemente ricalibrare la mira alla ricerca di nuovi obiettivi, questa volta, però, verso luoghi che a primo sguardo sono parsi poco promettenti: le piccole comunità isolate e-o i minuscoli borghi della Basilicata.

Elementi di criticità del territorio: emergono aspetti critici come la scarsità di servizi presenti nel territorio.

“Io voglio cambiare, la mia moglie vuole cambiare per trovare vicino di casa…una chiesa copta. Come noi siamo cristiani copti-ortodossi. Vogliano tenere una chiesa vicina di casa copta-ortodossa”. (E5)

Questo caso specifico dimostra che la scelta di permanenza duratura è messa in discussione per cause di tipo culturale e religioso, in quanto la mancanza di luoghi di culto nella comunità (religione cristiano-copta) rende difficoltosa la sua pratica quotidiana. Inoltre, le soluzioni introdotte per ottemperare alle mancanze strutturali del territorio sono percepite come semplici palliativi temporanei, non portatrici di soluzioni definitive. Pertanto, sebbene (E5) e tutta la sua famiglia risiedano a Matera da oltre 9 anni, la mancanza di un centro di culto di riferimento agisce come elemento inibitore del progetto di permanenza definitiva. Di conseguenza, si mette in luce che i contesti interculturali necessitano di azioni di promozione del dialogo e della conoscenza reciproca tra tutti gli attori coinvolti in essi. Inoltre, l’implementazione di luoghi di culto diversi da quelli locali muove in tale direzione di dialogo tra le differenze. Pertanto, si auspica l’adozione di dinamiche organizzative e abitative che sappiano contemplare le nuove diversità; tale responsabilità deve essere accolta attraverso politiche abitative che sappiano restare in ascolto con tutte le componenti e le istanze di ogni singola sensibilità culturale. Di contro, se tali sollecitazioni non vengono accolte si può dar luogo a spazi pluriculturali caratterizzati da comportamenti d’incomprensione interculturale che nel lungo periodo possono dar luogo a intolleranza e casi di razzismo estremo (Portera, 2019).

Il caso materano di (E5) è un esempio di come esperienze d’inclusione di successo possono interrompersi improvvisamente quando istanze culturali, linguistiche e religiose restano inascoltate, ne sono un esempio i casi di agitazioni e rivolte sociali avvenute in aree rurali del sud Italia come Rosarno (Tognetti Bordogna, 2015). Pertanto, come afferma Maurizio Ambrosini, in contesti interculturali è imprescindibile sviluppare anche una sensibilità burocratico-amministrativa più empatica e inclusiva, che possa promuovere una dimensione organizzativa degli spazi sociali di “tipo misto”, la quale prevede una gestione equamente condivisa tra tutti gli attori coinvolti (Gamberoni, 2019) Tutto ciò conferma le parole del sociologo Massimiliano Fiorucci che ci ricorda quanto sia opportuno favorire processi di conoscenza reciproca di natura interculturale in cui i “nuovi vicini” (Ambrosini e Bonizzoni, 2012), di comune accordo con tutte le alte componenti della comunità, contribuiscono a “definire le regole del gioco” (Fiorucci, 2011: 95).

Un’altra criticità emersa è data dalle difficoltà logistiche di comunicazione nel territorio e infrastrutturali che corroborano la percezione di isolamento territoriale da parte dei partecipanti:

“c’erano pure gli aspetti negativi. Perché, quando siamo arrivati là, stavamo in un posto un po’ lontano staccato dalla città. come posso dire, nella campagna lontano dalla città. però siamo stati bene lo stesso.” (E9)

Di conseguenza, dinamiche abitative non adeguate all’integrazione delle nuove componenti del territorio danno luogo a casi come quello di (E9) che con la sua famiglia sente l’esigenza di trasferimento in centri urbani con servizi e infrastrutture a lui più consoni. Pertanto, sebbene definisca positivamente l’intera esperienza materana, al contempo sottolinea quanto gli sia costato in termini di impegno e resilienza integrarsi nel tessuto sociale del territorio. Inoltre, utilizza la parola “campagna” per evidenziare la sensazione di mancanza di servizi e opportunità lavorative congrue alle proprie aspettative e sottolinea che la percezione di isolamento è stata maggiore durante la fase di arrivo sul territorio, quando la vulnerabilità psicologica e le limitazioni di movimento personale erano più marcate (mancanza di documento di guida, mezzo di spostamento personale).

Fortunatamente nel tempo, come confermato in (Bevilacqua, 2018), con il crescere dei rapporti interpersonali, una migliore conoscenza del territorio e, in modo particolare, con l’ottenimento della documentazione personale il senso di isolamento tende lentamente a scomparire. Pertanto, se, per una parte, il miglioramento delle condizioni socioeconomiche favoriscono una migliore qualità di vita contribuendo a consolidare il desiderio di permanenza nella comunità; dall’altro, la scarsità delle infrastrutture di comunicazione, dei trasporti e dei servizi fa in modo che la percezione di isolamento psicologico e sociale non si annulli del tutto (Lang, 2024). Di conseguenza, tale aspetto si configura come un aspetto che rende più difficoltoso il naturale percorso di insediamento territoriale nel lungo periodo. Per tali ragioni, il presente studio conferma la necessità di un efficientamento delle condizioni delle infrastrutture come precondizione utile per una efficace riurbanizzazione delle aree rurali, che contempli non solamente la componente dei residenti tradizionali ma anche quelle dei nuovi insediamenti di straniere e stranieri.

Infine, altra spinosità emersa è l’eccessivo impegno richiesto al mondo del volontariato e più in generale del terzo settore, il quale di fatto ricopre il ruolo di succedaneo delle debolezze e delle lentezze politico-amministrative del luogo. Difatti, si conferma quanto la natura normativa dei progetti SAI, partendo da una cornice normativa istituzionale, prevede e concentra gli oneri dell’accoglienza sulle forze locali, facendo di tal guisa ricadere tale responsabilità sulle capacità e competenze dei singoli lavoratori del terzo settore (Gamberoni, 2019). A tale riguardo (E2) racconta:

“… ho avuto problemi con i documenti. Cioè, non me lo rinnovavano. L’unico problema con l’Italia, questo l’unico tradimento, diciamo, è stato dopo 11 anni”. (E2)

Qui il termine “tradimento” sottintende speranze e progetti disattesi dopo 11 anni di permanenza in Basilicata. Durante questo lungo periodo di attesa la lentezza burocratica ha gravato sui singoli operatori chiamati a mediare e risolvere complesse operazioni amministrative e, in taluni casi, a sopperire a modificazioni legislative messe in campo in itinere stabilite dall’alto.

Ancora una volta emerge quanto la dorsale dell’accoglienza nella sua componente quotidiana venga eccessivamente addossata sulle individualità e l’expertise del mondo dell’associazionismo e dei lavoratori sociali volontari (Gamberoni, 2019). Per tanto, si reitera un modello di accoglienza radicalmente ancorato sul bottom/up, il quale, se per una parte, trova linfa vitale nella flessibilità e l’attivismo del terzo settore; di contro, continua a riverberarsi in una visione ancora emergenziale e non strutturale dell’accoglienza (Corrado et al., 2024; Corrado e D’Agostino, 2016). Un approccio deleterio che nel lungo percorso può presentare i suoi effetti configurando tali territori a rischio spopolamento in meri “place of transit” (Urso, 2022) e così di conseguenza disperdere quel valore aggiunto come investimento futuro per il territorio.

6. Conclusioni

Lo studio evidenzia che la permanenza nel territorio lucano è regolata da eventi e fattori che incidono sui tempi di svolgimento e sulla durata. In primo luogo, si definiscono tre tipologie di permanenza che si avvicendano cronologicamente: 1) una fase iniziale e obbligatoria; 2) una seconda con durata più estesa ma provvisoria; e infine l’ultima tipologia 3) permanente e definitiva.

La prima fase è caratterizzata, per una parte, da un senso di precarietà e vulnerabilità psicosociale e, dall’altra, da difficoltà comunicativo-linguistiche dei beneficiari (Ambrosini, 2020; Bianco e Cobo, 2019; Tessitore e Margherita, 2017; Macciani, 2019) che si protraggono in maniera diffusa per tutta la durata dei progetti di accoglienza SAI, ex SPRAR (6 -12 mesi). È una fase percepita come una esperienza di sospensione, in quanto incombe interrompendo il personale progetto migratorio.

Successivamente, si passa alla fase intermedia caratterizzata da un miglioramento delle condizioni psicosociali e comunicative ma anche da attese burocratiche per il conseguimento dei permessi e documenti di soggiorno. Tali inconvenienti e disservizi causati dalla macchina amministrativa locale e nazionale, rappresentano i fattori che determinano il prolungamento della permanenza sul territorio. Durante questa fase è rilevante l’influenza delle reti dei connazionali e/o, in alcuni casi, dei familiari che si configurano come attori determinanti per la prosecuzione del progetto migratorio di origine, ossia verso i centri urbani, e che, successivamente alla risoluzione del processo burocratico e amministrativo, può generare l’interruzione della permanenza nel la comunità accogliente.

La terza e ultima fase fa riferimento alla conferma definitiva del territorio come luogo di permanenza nel lungo periodo. Coloro che approdano a questo ultimo stadio sono modelli di esperienze d’inclusione di successo nel tessuto sociale accogliente e, per tale ragione, meritano un’attenta analisi degli elementi che concorrono in essi per la ridefinizione del personale progetto migratorio. L’analisi attenta di questi casi al contempo conduce alla definizione del territorio rurale e marginale della regione Basilicata come attrattore inconsueto per stranieri. Tale analisi ha messo in luce le reali potenzialità del territorio come meta migratoria.

Lo studio, inoltre, ha organizzato tali potenzialità presentandole come valore aggiunto proprio della specificità contestuale socio-territoriale. A conferma di ciò, Maurizio Ambrosini sostiene che efficaci percorsi d’inclusione non possono prescindere dalla contestualità territoriale accogliente e per tale ragione ne relaziona il suo impatto al successo dell’accoglienza interculturale (Ambrosini, 2020).

Ciononostante, in considerazione della molteplicità dei fattori in gioco è altrettanto evidente quanto sia difficile trovare risposte univoche ed esaustive per il proposito del presente studio; pertanto, si auspica un adeguato approfondimento futuro sul tema dell’accoglienza in aree rurali marginali attraverso multiple prospettive capaci di aprire ulteriori linee di ricerca.

In primo luogo, sarebbe opportuno focalizzare lo sguardo sul contesto accogliente anche in relazione alle sue limitazioni e criticità: bassa crescita economica, limitate offerte di lavoro, servizi essenziali per la persona inefficienti e scarso expertise nel campo dell’accoglienza di migranti sul proprio territorio.

Altra accortezza fondamentale in chiave futura è pervenire alla consapevolezza del carattere bidirezionale dei progetti di accoglienza e integrazione SAI; ossia progetti intesi come opportunità concrete a vantaggio non solo dei beneficiari dei progetti ma anche e soprattutto del territorio e dei suoi abitanti. Adottare questa prospettiva significa avere a disposizione formidabili occasioni di investimento economico e sociale per il territorio.

Ovviamente, in virtù di questo approccio proattivo alla questione migratoria è possibile gettare le basi anche per la promozione di un processo di cambiamento per la costruzione di spazi multiculturali rispettosi delle diversità e scevri da qualsivoglia conflittualità (Portera, 2019).

Per concludere, è doveroso sottolineare che i dati del presente studio non consentono generalizzazioni a causa della mancanza di rappresentatività del campione adottato, nonché per le caratteristiche di un territorio di recente configurazione come ricettore di migranti. Ciononostante, riteniamo che il caso della Basilicata possa offrire importanti informazioni su progetti di inclusione in aree rurali e a rischio popolamento del Sud Italia. In questo senso, sono necessari ulteriori studi, sia quantitativi che qualitativi, per l’inquadramento delle problematiche dell’immigrazione in aree depresse e marginali. Tale interesse può, in una certa misura, consentire una migliore comprensione di quegli aspetti che rendono attraenti queste comunità poco battute dalle rotte migratorie.

Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento va all’Associazione “Il Sicomoro” di Matera e la Fondazione “La Città della Pace e dei Bambini” di Sant’Arcangelo-Potenza per la collaborazione e il supporto costante durante l’intera durata della ricerca. Inoltre, un riconoscimento speciale è diretto agli ex rifugiati e richiedenti asilo intervistati, per il tempo dedicatomi e per quelle parole ricche di umanità e voglia di riscatto da un destino sventurato dal quale riscattarsi.

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Appendice

Tabella 2. Tabella metodologica: Categorie, codici e sottocodici

Categoria

Codice

Sottocodice

Condizione lavorativa e

autopercezione di benessere

Condizione lavorativa e

Autopercezione di benessere

Nel lungo percorso

  • Attività iniziale precaria
  • Difficoltà lavorative Iniziali
  • Attività Iniziale motivante
  • Bassa soddisfazione attività iniziale
  • Soddisfazione lavorale
  • Dinamicità in ambito lavorativo
  • Sostegno rete sociale/percorso lavorativo
  • Attività lavorativa in proprio
  • Aspettativa miglioramento professionale
  • Attività lavorativa dura
  • Soddisfazione professionale attuale
  • Soddisfazione retributiva attuale

Urgenza cambio lavoro

Rapporto fiducia datore di lavoro/beneficiario

Lavoro manuale e fisico

Condizione abitativa nel breve

e lungo periodo

  • Alloggio iniziale adeguato
  • Alloggio iniziale area rurale e isolata
  • Criticità convivenza iniziale
  • Accompagnamento e consulenza abitativa positiva
  • Appartamento in affitto
  • Progetto futuro di acquisto appartamento
  • Acquisto appartamento
  • Convivenza positiva casa-famiglia
  • Cambio casa
  • Conferma permanenza

Difficoltà logistiche

Mancanza di privacy

Servizi adeguati

Recupero privacy

Lunga permanenza territorio

Percezione personale di benessere

e residenza definitiva nel territorio

  • Permanenza iniziale obbligatoria
  • Permanenza medio termine
  • Permanenza pratica e temporanea
  • Percezione positiva del territorio
  • Conferma permanenza futura nel territorio
  • Apprezzamento attitudine umana dei residenti
  • Tratti culturali in comune residenti/ex beneficiari
  • Forte sentimento di appartenenza alla comunità
  • Cambio residenza verso rotta urbana
  • Centri urbani/comunità rurale

Progetto migratorio fuori Basilicata

Ripresa progetto migratorio iniziale

Presenza nucleo familiare fuori territorio

Attesa e ritardi rilascio documentazione

Rilascio documentazione

Tranquillità e senso di sicurezza

Bellezza della Natura e paesaggio

Presenza figli: stranieri di seconda generazione

Esperienze negative fuori dal territorio

Convenienza del territorio

Rapporto favorevole qualità/prezzo

Amabilità ed empatia

Ospitalità

Amore per la comunità

Relazione sentimentale con il territorio

Attaccamento casa-famiglia

Forte relazione con residenti

Assenza centro di culto religioso sul territorio

Convenienza economica comunità del territorio


  1. 1 SAI: Sistema Accoglienza e Inclusione.

  2. 2 SAI: Sistema Accoglienza e Integrazione; SIPROIMI: Sistema di Protezione per Titolari di Protezione Internazionale e per Minori stranieri non Accompagnati; SPRAR: Sistema di Protezione per Rifugiati e Richiedenti Asilo.